martedì 26 ottobre 2010

Il mistero del dottore morto al Lago Trasimeno


Siamo nel 1985, a Perugia, una mite mattina d'ottobre, il dott. Francesco Narducci, medico e professore universitario di appena 36 anni, saluta i colleghi dell'ospedale Monteluce di Perugia e si reca con la sua moto Honda, al lago Trasimeno(foto), un paio d'ore prima, ha avvertito telefonicamente il custode della rimessa barche, in modo che il suo scafo fosse pronto al suo arrivo al pontile.
Alcune persone lo videro dirigersi con la sua piccola imbarcazione verso l'isola Polvese, da quel momento in poi, nessuno vide più in vita Francesco Narducci, il suo cadavere, venne ritrovato la mattina del 13 ottobre, cinque giorni dopo la sua scomparsa, nelle acque che separano l'isola Polvese dal piccolo paese di Sant'Arcangelo.
Nel giugno del 2002 la Procura di Perugia, dopo una serie di indagini, fa aprire la tomba di Francesco Narducci e ordina che venga eseguita la riesumazione, disponendo contemporaneamente l'autopsia e altri esami. Il 20 dicembre successivo vengono consegnati i risultati delle perizie: Francesco Narducci non sarebbe morto annegato ma sarebbe stato ucciso e l'uomo rinvenuto nel lago e riconosciuto 17 anni prima sarebbe un'altra persona.
Per gli inquirenti quel cadavere sconosciuto sarebbe stato intenzionalmente scambiato per nascondere una qualche verità.
Di diversa opinione sarebberi i congiunti del Narducci, secondo loro, il cadavere "ripescato" il 13 ottobre del 1985, sarebbe stato proprio quello del giovane medico e che la morte, fu probabilmente causata da un gesto autolesionistico del dottore.
L'abnorme rilevanza di questa vicenda, è da attribuire al collegamento effettuato dagli inquirenti, fra la morte del dottore perugino e la serie di delitti maniacali del cosiddetto Mostro di Firenze.
Il coinvolgimento di Narducci si fonda sull'intercettazione telefonica di un gruppo di pregiudicati umbri(probabilmente degli usurai), che avrebbero minacciato una tale "Dora"(una commerciante) di fargli fare la stessa fine del "medico ucciso sul Trasimeno", velato riferimento alla morte dello stesso Narducci, rinvenuto cadavere al largo dell'isola Polvese, e sulla base di alcune lettere anonime ricevute dagli investigatori nei mesi successivi, nelle quali il medico veniva messo in relazione coi delitti.
Ancor più che, la presunta morte del Dottor Narducci, avvenuta comunque(come l'autopsia del 2002 confermò) in quel periodo, cadde proprio poco tempo dopo l'ultimo duplice delitto del Mostro di Firenze, datato 8 settembre 1985.
Alcuni esperti del caso, scettici rispetto alla figura del Narducci coinvolto nelle vicende del mostro, affermano che in realtà il personaggio citato nella famosa intercettazione alla Sig.ra Dora non fosse il Narducci ma un altro medico implicato in un giro di usurai che poi si suicidò al lago Trasimeno.
Le indagini che vedono coinvolto Narducci, sono tese ad ipotizzare una sua presunta appartenenza ad una setta che in qualche modo commissionava i delitti del Mostro di Firenze e, la sua morte associabile al fatto che, lo stesso Narducci fosse divenuto un pericolo per la setta stessa, in quanto intenzionato a rivelarne l'esistenza e quindi svelare la matrice dei delitti Fiorentini.

Il mio modesto parere è che, il medico umbro, non c'entri nulla con gli omicidi del Mostro di Firenze, che il suo coinvolgimento con quei fatti sia solo una forzatura, un'escrescenza errata di indagini errate, che dopo 30 anni(tanto sono durate quelle sul mostro) non hanno portato a nulla.
Se veramente lo scambio di cadavere c'è stato, è si legittimo pensare che la famiglia del dottore, volesse aprire al giovane medico una via di fuga, voleva creargli una copertura, magari in vista di un prossimo arresto.
Ma a tutt'oggi, non c'è nulla che metta realmente e concretamente in coesione il medico umbro, la sua morte e gli omicidi maniacali del Mostro di Firenze.

A.L.


mercoledì 11 novembre 2009

Le leggende dei Monti Sibillini


I Monti Sibillini(foto a lato) che si estendono fra Umbria e Marche e toccano le provincie di Macerata, Fermo, Ascoli Piceno e Perugia sono da sempre al centro di miti, leggende o più semplicemente detti paesani, monti magici avvolti nel mistero, come ne dà conferma il nome stesso: Sibillini, da Sibilla, una figura storica realmente esistita nella civiltà romana, erano Sibille quelle vergini che erano dotate di virtù profetiche e in grado di dar responsi e predizioni, quella appeninica che verosimilmente dette il nome al Monte Sibilla ed anche alla catena stessa di monti, nacque in epoca medievale, secondo la leggenda visse in una grotta tuttora esistente, situata sull'omonimo monte.
Lo scrittore Andrea da Barberino con il suo romanzo Il Guerrin Meschino contribuì a perpetrare la leggenda della Sibilla Appenninica, raccontando le gesta di un cavaliere, che si recò sul monte per farsi aiutare dalla Sibilla a ritrovare i suoi genitori, per un anno soggiornò all'interno della grotta della maga resistendo alle tentazioni grazie alla sua fede.
Secondo la tradizione locale, la Sibilla sarebbe una fata buona, veggente ed incantatrice, non perfida o demoniaca, circondata dalle sue fate che scendono a valle per insegnare a filare e tessere le lane alle fanciulle del posto.
Le fate sarebbero donne bellissime con piedi caprini, che di notte frequentano feste e balli dei paesi vicini, ma che si debbono ritirare sui monti prima dell'alba: alla fuga precipitosa da una di queste feste nella quale si erano attardate, la leggenda fa risalire la nascita de la Strada delle Fate, una faglia di 200 metri sul Monte Vettore.
Sui Monti Sibillini ci sono molti luoghi segnati dalla leggenda del passaggio delle fate, infatti, oltre alla "strada delle fate ci sono: le “fonti delle fate”, i “sentieri delle fate” nonchè la stessa grotta della Sibilla.
Queste affascinanti creature si muovevano tra il lago di Pilato, dove secondo la tradizione si recavano per il pediluvio, ed i paesi di Foce, Montemonaco e Montegallo, tra il Pian Grande, il Pian Piccolo ed il Pian Perduto di Castelluccio di Norcia e Pretare, dove ancora oggi una rappresentazione di teatro detta “la discesa delle fate” custodisce e rievoca la memoria della presenza di queste creature.
Sono descritte come giovani donne di bell'aspetto, vestite con caste gonne da cui spuntavano zampe di capra e che il calpestio dei loro passi ricordava il rumore degli zoccoli degli animali sulle pietraie dei monti. Questa caratteristica del piede caprino è diffusa nei racconti di tutta la zona dei Sibillini, forse considerando che nell'immaginario popolare un piede siffatto avrebbe anche offerto una migliore presa sulle scoscese e ghiaiose pareti e che potesse meglio rappresentare una correlazione di queste figure a quella del diavolo, da considerare anche che le pelli di capra erano utilizzate per ripararsi dal freddo.
Le fate sibilline amavano danzare nelle notti di plenilunio e, appropriandosi segretamente dei cavalli dei residenti, raggiungevano i paesi vicini la loro grotta per ballare con i giovani pastori. Sempre secondo questi ricordi si attribuisce alle fate l'aver introdotto il ballo del "saltarello".
A Montefortino, in località Rubbiano, vicino alle Gole dell'Infernaccio, c'è un appezzamento di terreno che, in ricordo di questi balli, in dialetto “valli”, ancora oggi si chiama “Valleria”.
Alcuni sostengono che le fate ci siano ancora adesso sui monti Sibillini e a riscontro di questa convinzione adducono fantasiose prove: le “treccioline” delle criniere delle cavalle. A volte gli animali condotti liberi al pascolo sui monti tornano con la criniera pettinata a treccioline(foto lato) ed i valligiani sostengono che le artefici sarebbero le fate.
Altra "prova" sarebbe quella delle luci random, fenomeno osservato in prevalenza nella zona di Santa Maria in Pantano, a Colle di Montegallo, quando, dopo il tramonto, sulle montagne si vedono delle luci che si muovono come se fossero delle persone, secondo alcuni sarebbero le fate che risalgono i pendii.